Idi di giugno
Aurelio aprì gli occhi che il sole era già alto, risvegliato dal bussare discreto ma insistente di Paride. L'intendente, fermo sulla soglia, si fece da parte per lasciar passare i due cubicolari che recavano il malluvio colmo d'acqua profumata e l'asciugatoio per rinfrescare il viso del padrone.
Più volte Aurelio era stato criticato da colleghi e amici che reputavano le abluzioni mattutine un'inutile mollezza, in una città dove chiunque, schiavi compresi, prendeva il bagno ogni pomeriggio. Il patrizio, tuttavia, era incapace di cominciare la giornata senza lavarsi anche sommariamente la faccia e strofinarsi i denti con la polvere di corno.
- Domine, Pomponia è qui - annunciò Paride - e sembra sconvolta! Le ho portato un tonico, ma non le è stato di alcun giovamento. Se puoi raggiungerla...
Gli alti lai provenienti dal peristilio e lo scalpicciare nervoso dei servi convinsero Aurelio che la matrona, in spregio di ogni convenienza, non aveva nessuna intenzione di aspettare che l'ospite si radesse, per essere ricevuta.
Il patrizio saggiò con imbarazzo le guance appena ombreggiate e vestì alla svelta una tunica corta su quella leggera con cui aveva dormito, tanto per salvare la decenza.
Pomponia, dal canto suo, non era certo in condizioni di far caso al suo abbigliamento: in piedi nel tablino, si agitava convulsamente, sorretta dal portiere Fabello, e da un paio di schiavi robusti, che tuttavia non sarebbero riusciti a sopportarne il fardello senza l'aiuto del possente Sansone.
- Oh, Aurelio! - si accasciò la grossa dama in preda allo sconforto, facendosi depositare dai famigli su un ampio seggio. - Il mio Tito...
“Dei dell'Olimpo, speriamo che non abbia scoperto la tresca”, si disse Aurelio, rabbrividendo: Pomponia possedeva occhi degni di un falco, e se quello sventato di Servilio non si era tolto tutti i capelli biondi dalla veste...
- Sono due settimane che mi ignora! - continuava la donna, disperata. - Insomma, si sdraia accanto a me con aria assente e subito si addormenta. Ho fatto di tutto per attirare la sua attenzione: abiti succinti, parrucche come quelle di Messalina... niente! Dorme della grossa, sognando chissà cosa! E ieri notte è rientrato tardi... Amico mio, che cosa gli sta succedendo? Non si è mai comportato in questo modo!
Il patrizio annuì, nervoso. Dunque, la cotta di Servilio stava causando guai in famiglia...
- Rimango per ore immersa nel latte e nel miele, per migliorare la carnagione, e le mie ornatrici stanno impazzendo a forza di provare pettinature diverse, ma lui non se ne accorge nemmeno. Oh, Aurelio, dimmi che cosa devo fare!
Il senatore rifletté: Nissa era giovane e sofisticata, artefatta fino al limite della sopportazione...
- Niente - azzardò. - Smetti di truccarti e levati tutti quei posticci. Lascia che Servilio ti veda come sei veramente.
- Ma sembrerò una donna di mezz'età! - protestò la matrona, che, in verità, si apprestava a lasciarsi alle spalle la cinquantina.
- Matura e piena di fascino. Tito ti ama ancora, ne sono sicuro...
“O almeno lo spero”, pensò tristemente.
- Però ieri notte...
- Cercherò di scoprire dove l'ha passata. Fidati; se c'è sotto qualcosa, verrò a saperlo - disse il patrizio, consolandola con un gesto affettuoso. - Piuttosto, ascolta: ho di nuovo bisogno di ricorrere alle tue risorse.
La matrona si spazzò via dalla guancia le lacrime nere di bistro e alzò il capo, interessata suo malgrado. Sebbene non volesse darlo a vedere, la sua incontenibile curiosità si era destata a dispetto dell'incombente tragedia coniugale. Aurelio tentennò. In altre circostanze, non avrebbe indugiato a lanciare l'amica sulle labili tracce della mimula, inducendola a dispiegare tutta la potenza della sua rete di spionaggio mondano; adesso, però, esitava: se la matrona, scava scava, fosse venuta a sapere di Servilio... d'altra parte, era sempre meglio scoprirlo da sola, anziché subire l'umiliazione di apprenderlo da una perfida amica.
Il patrizio si decise: avrebbe davvero scatenato Pomponia sulle orme del passato di Nissa, sperando che l'amica venisse almeno in possesso di qualche arma segreta di cui avvalersi contro la rivale, nel caso si fosse giunti allo scontro aperto.
- Pomponia, quell'attrice non può essere sorta dal nulla; cerca di scoprire da dove viene.
- Ti sembra facile? - dichiarò la matrona. – Dovrei conoscere la sua cosmetica, oppure qualche serva: l'ambiente del teatro è un po' fuori dal mio raggio di azione.
- Sono certo che saprai estenderlo a dovere! - l'accomiatò Aurelio, chiedendosi una volta di più se aveva fatto la cosa giusta.
- Ah, l'amore... - commentò Paride in tono melato, quando la grossa matrona fu uscita.
Il padrone sollevò il sopracciglio, stupito. La scandalosa castità del pio intendente era l'oggetto dei lazzi di tutta la servitù della domus: mai Paride era stato visto importunare un'ancella, se non per rimproverarla a proposito di un servizio poco accurato.
Tuttavia, considerò Aurelio, le sempre più frequenti dimenticanze, quell'aria svagata, la testa tra le nuvole erano segni sospetti: che Paride fosse innamorato? si chiese incredulo, domandandosi chi avesse potuto far breccia nel cuore arido del severo amministratore.
In quel momento, Castore entrò senza bussare e si accomodò sullo scranno più comodo, guardando attraverso il pio liberto come se fosse del tutto trasparente.
- Ho saputo delle cose interessanti, ieri sera. Pensa che Sergio aveva dato ordine a un servo arcano di ritirare dei liquidi per la puntata fin dalla settimana precedente l'incontro... - raccontò il greco, mentre attingeva soddisfatto dalla giara di Setino del padrone.
- In effetti, quella di Chelidone sembra quasi una sconfitta accuratamente predisposta - osservò Aurelio. -. Non sarebbe la prima volta che una gara si rivela truccata. Al circo, per esempio, succede spesso che tentino di comprare gli aurighi.
- Non dirlo a me, domine, che sono greco! Sai quante volte gli atleti olimpici sono stati accusati di aver ottenuto la palma della vittoria corrompendo gli avversari, affinché si lasciassero battere? - ricordò Castore. - Già quattro secoli or sono, Eupolo...
- Ma l'arena non è Olimpia - ribatté il senatore, interrompendo Castore. - Nei ludi, perdere significa morire! Pensi forse che Chelidone si sia prestato di buon grado a un simile gioco? No, l'unica spiegazione plausibile è che non ne fosse al corrente... Ascolta, devi scoprire se il gladiatore ha incontrato qualcuno, quella mattina, prima dell'inizio dei munera. Lo so che, in teoria, è proibito aver contatti con gli atleti negli istanti che precedono il combattimento, tuttavia si sa come vanno queste cose... Informati anche sulla sera della libera cena: può darsi che Chelidone abbia fatto visita a Nissa, la sua amante, un'ultima volta. E non trascurare la povera Arduina; lei ha chiesto di te!
- Ah, la gladiatrice... non lo diresti mai, ma è di sangue reale - rivelò il greco. - Sua madre discendeva da un'antica stirpe di druidi ed era una lontana cugina di re Cimbelino: Arduina, quindi, è imparentata con quel Caractaco che ha causato tanti guai in Britannia. Nel suo paese, prima della cattura, si era fatta notare come valorosa guerriera; per questo, quando è stata presa prigioniera dall'esercito di Claudio e portata a Roma, i lanisti hanno pensato di farne un'attrazione dei ludi.
- Buon per te - rise Aurelio. - Non capita tutti i giorni di corteggiare una principessa.
- Sangue reale o no, domine, la ragazza non è certo molto appetibile, e a forza di incontrarla a quattr'occhi mi sto rovinando la reputazione davanti a tutte le signore dell'Urbe! Di conseguenza, non intendo insistere in questo assurdo corteggiamento - dichiarò Castore, rigido.
- Nemmeno con un piccolo incentivo? - fece il padrone, insinuante.
- Tu credi sempre di potermi comprare, eh? - si sdegnò il greco, esibendo un'espressione offesa. - Non mi vendo per vile denaro, io!
- Coraggio, sputa - disse Aurelio, per nulla turbato dall'atteggiamento risentito di Castore. - Che cosa vuoi, in cambio?
- Il permesso di fare indagini a tuo nome al teatro di Pompeo - propose il liberto, e Aurelio accondiscese subito, sorpreso di cavarsela così a buon mercato.
Sistemata Pomponia, accontentato Castore, il patrizio sentiva un gran bisogno di star solo.
La solitudine era un bene così prezioso, a Roma, che nemmeno le più grandi ricchezze riuscivano a garantirla: la città, in fondo, non era che un'immensa piazza, dove si viveva in pubblico, circondati da schiavi, clienti, amici. Eppure esistevano cose che nemmeno gli amici potevano condividere.
- Vale! - scandì quindi con voce decisa, per congedare il segretario.
Castore non si mosse.
- Domine, ho visto un grazioso pugnale; sarebbe gentile se lo recassi in dono ad Arduina... Non si può andare a mani vuote dalla cugina di un re!
- D'accordo, ma solo se si tratta di qualche sesterzio - promise Aurelio, attendendo che il servo se ne andasse: non aveva nessuna intenzione di informare Castore sulla sua prossima mossa, e aspettava che fosse ben lontano prima di metterla in atto.
Il liberto, però, rimaneva immobile.
- Che c'è ancora? - sbuffò il senatore, spazientito.
- La britanna è rimasta colpita dal mio stile - rivelò il segretario. - E la capisco, poverina, costretta com'è a vivere tra uomini rozzi e brutali. Penso che avrei un'ottima accoglienza, se mi presentassi al meglio, abbigliato con una certa classe... che ne dici della tua tunica di bisso?
- Ma non l'ho ancora messa una volta! - protestò Aurelio.
- Appunto! Faresti la figura dell'ultimo arrivato, ostentando roba nuova di zecca: un vero signore fa sempre portare i suoi capi un paio di volte a qualcun'altro, prima di indossarli a sua volta, in modo tale che acquistino un'elegante patina di usato...
- Va bene, te la presto - cedette Aurelio. - Ma adesso vai!
- E sopra metterò la tua mantellina con la cocolla... Grazie, domine, sarò perfetto.
Il senatore si voltò, aspettando che la porta si chiudesse definitivamente alle spalle del petulante segretario. Dopo pochi istanti, non udendo alcun rumore, si girò di nuovo e alzò gli occhi: Castore era ancora lì.
- Domine, quella tunica è assai bella, ma non vi è nulla che la trattenga sugli omeri. Sarebbe indecoroso se andassi in giro mezzo nudo...
- Prendi due fibule dal mio scrigno, Castore, e sparisci! - gridò Aurelio, esasperato.
Rimasto finalmente solo, il patrizio bevve un lungo sorso di cervesia e si sdraiò sul cubile, tornando col pensiero a un periodo della sua vita che credeva dimenticato.
Il fiamme rosso, il sacrificio agli dei... poi il piccolo Publio, il rancore, le menzogne, l'indifferenza... Cosa avrebbe provato, rivedendola?
- Non riceve nessuno! - dichiarò l'ostiario, brusco.
- Mi riceverà! - replicò il patrizio con voce autorevole.
Il servo lo fece attendere nell'atrio, in piedi, e si allontanò con aria sospettosa.
Aurelio alzò gli occhi sulla grande casa buia.
Dai muri, gli affreschi mitologici un po' stinti sembravano ammiccargli con una sorta di complicità confidenziale e un po' imbarazzante. Ecco l'occhio del Ciclope, verso cui una volta, in preda all'ira, aveva scagliato la lucerna: le tracce di nerofumo si scorgevano ancora, sotto la sommaria ripulita...
- Tu qui? - disse qualcuno alle sue spalle; e non vi era tono di meraviglia nella voce, solo la constatazione di un fatto.
Il patrizio si voltò. Sì, era ancora lei... ma quanto diversa.
- Non guardarmi come fossi un fantasma! - lo investì la donna, con tono irritato.
- Il solito buon carattere! - commentò Aurelio, seguendola nel tablino.
Flaminia sedette su un alto scanno e versò del vino.
- Sono cambiata, lo so. Ho visto con che faccia mi hai guardato. E bada di non negare: la tua squisita educazione mi è sempre stata insopportabile. A proposito: il mio ritorno a Roma non è ufficiale, confido che la cosa rimanga tra noi. Non intendo certo mostrarmi in pubblico - mormorò la donna, toccandosi il viso butterato.
- È stata una lunga malattia... - sussurrò il patrizio.
- Pochi sopravvivono, ma io ho la pelle dura, come ben sai.
Aurelio rimirò quel volto che ricordava bellissimo, quegli occhi freddi che allora era arrivato a odiare.
- Dimmi cosa vuoi e vattene! - esclamò Flaminia, ingollando un sorso di mulso. - Non ho voglia di veder gente.
- Chelidone lo vedevi, però - disse il senatore.
- Vuoi sapere di lui? È presto detto: anche brutta e sfregiata, sono ancora abbastanza ricca per comprarmi l'uomo più ambito di Roma, se ne ho voglia.
- È stato qui molte volte? - chiese Aurelio.
- Soltanto due, e non ci voleva molto a capire che veniva solo perché costretto. Lui sapeva che non avrebbe potuto rifiutare un mio invito - scandì la donna con rabbia repressa. - Comunque, me ne sono stancata subito: era meglio nell'arena che a letto, e l'ultima volta ha fatto cilecca.
- Sempre severa nei giudizi! - commentò Aurelio, sollevando il sopracciglio. - Dimmi, l'hai visto morire?
- Sì, ero nella tribuna delle Vestali: è un favore che mi fa la decana, per permettermi di assistere agli spettacoli velata. Non ho pianto, se ti interessa, quando è stramazzato al suolo.
Il patrizio tacque.
- Bene, hai saputo quello che volevi. Ti faccio accompagnare - lo accomiatò la matrona, brusca.
- Non importa, Flaminia, ricordo la strada – disse Aurelio. E uscì senza voltarsi.